Secondo costante giurisprudenza, la conseguenza dell'illegittimo mutamento di mansioni del lavoratore subordinato, disposto dal datore di lavoro è costituita non solo dal risarcimento del danno, ma anche dal ripristino della situazione originaria mediante la reintegrazione del lavoratore nella posizione di lavoro.
In alcuni casi è stato anche accertato che il demansionamento, traducendosi in una sofferenza fisico-psichica, abbia prodotto danni alla salute del dipendente. In casi come questi, dopo che è stato rigorosamente provato il nesso di causalità tra il comportamento illegittimo del datore di lavoro e la malattia (da accertare in genere mediante apposita consulenza tecnica medica), è stato anche riconosciuto il diritto al risarcimento del danno biologico, liquidato sempre in via equitativa.
All'uopo una sentenza emessa dalla Corte di Cassazione il 27 aprile 2004 così sancisce: "La negazione o l'impedimento allo svolgimento delle mansioni comporta, al pari del demansionamento, una lesione del diritto fondamentale del lavoratore alla libera esplicazione della propria personalità anche nel luogo di lavoro, determinando un pregiudizio che incide sulla vita professionale e di relazione dell'interessato e che deve essere risarcito anche quando abbia natura non patrimoniale".
Molte volte, nella casistica esaminata dalla giurisprudenza, si è rilevato come il demansionamento rappresenti l'apice di una serie di comportamenti vessatori nei confronti del lavoratore che possono essere ricondotti nella fattispecie del mobbing, per le cui caratteristiche si rimanda all'articolo sul sito.